Il Welfare State ieri e oggi: differenze d'approccio

| Jacopo Beggiora (Ce.S.E.D.) | Area tecnica (TECH)

2023. Le società in Occidente hanno conosciuto le misure del cosiddetto “Welfare State”, un modello economico-sociale che tende a prendersi cura dei cittadini dalla culla alla bara” (Beveridge).

Gli esempi di politiche atte alla tutela degli strati più bassi della popolazione sono presenti fin dall’antica Roma, ma la nascita del welfare vero e proprio viene spesso individuata nelle prime riforme di assicurazione sociale contro gli infortuni sul lavoro, sul finire del XIX secolo, durante la seconda rivoluzione industriale. È tuttavia con la crisi del 1929 che il Welfare State si consolida e ha un vero e proprio slancio rinnovatore.

Nel 1932 gli Stati Uniti vivono la Grande Depressione da tre anni. Con Franklin Delano Roosevelt, eletto alla presidenza, soffia un vento di novità chiamato “New Deal”, una rivoluzione americana in piena regola. Il focus del suo programma sono le riforme sociali, introdotte in due differenti fasi:

Nella prima (1933-34), si pensò al ricollocamento dei disoccupati; alcuni vennero impiegati per lavori pubblici (come la costruzione e la manutenzione delle strade), altri inquadrati nei “Civilian Conservation Corps”, incaricati della manutenzione e conservazione delle aree naturali; nella seconda (1935-38), venne istituito un sistema di previdenza sociale (“Social Security Act”), che aiutava i cittadini americani in caso di vecchiaia, disabilità e disoccupazione.

Altre proposte hanno invece avuto esito più infausto. Nei paesi del sud Europa le misure contro la povertà sono state troppo deboli, oppure tardive per avere un effetto concreto. Nel 2019, in Italia, con il dilagare della disoccupazione e della povertà, il Governo Conte I introduce il “Reddito di Cittadinanza”, un reddito minimo attribuito, appunto, ad inoccupati oppure a famiglie con ISEE al di sotto di una soglia stabilita. Coloro che percepiscono il reddito di cittadinanza sono obbligati ad iscriversi a centri d’impiego, e il sussidio viene erogato soltanto previa documentazione che attesti l’effettivo bisogno ed in presenza di idonea domanda.

La misura sembra la falsariga di quanto fatto da Roosevelt negli USA. Il vero problema sta nelle numerose truffe che, tra l’anno di introduzione fino ad oggi, si sono susseguite. I “furbetti” del reddito di cittadinanza hanno frodato lo Stato per svariati milioni di euro, rendendo di fatto controverso l’effetto che invece avrebbe dovuto avere.

La differenza tra Roosevelt e Conte è rappresentata dal fatto che essi abbiano deciso di distribuire i compensi ai disoccupati in modo diverso: Roosevelt ha prima permesso loro di essere utili per la società, trasformandoli in lavoratori attivi per il mantenimento dell’ossatura dello Stato, permettendo un miglioramento prima sotto il profilo lavorativo (inteso come riassorbimento della disoccupazione), e solo in un secondo momento economico. Conte ha invece invertito la tendenza: non ha creato posti di lavoro effettivi, ma solo “tamponato” attraverso la pezza del reddito di cittadinanza una situazione già di per sé non risolta, dando un indennizzo immediato che ha reso inutili sotto un profilo lavorativo coloro che avevano avevano perso il lavoro, oppure non lo avevano neanche effettivamente cercato. Inoltre, la riforma ha permesso a molti di coloro che dovevano essere esclusi dalla stessa di poter usufruirne quasi indisturbati: le indagini delle forze di polizia hanno rivelato numerosi casi, soprattutto nelle regioni dove c’era maggiore esigenza di sussidi statali.

Il dibattito è tuttora acceso, con alcuni che difendono gli articoli che compongono la misura, ed altri che pretendono l'abolizione della stessa a partire dall'anno corrente. Non resta che aspettare e auspicare un buon compromesso tra le parti politiche in conflitto.



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